ANIMALI CELEBRI: BALTO, JIRO E TARO



Quando pensiamo alle grandi distese ghiacciate ci sembra quasi di vedere una muta di cani da slitta che sfreccia abbaiando con il pelo spruzzato di neve. I muscoli in tensione e le orecchie pronte a captare il minimo segnale del proprio “musher”, il conducente.

Oggi si tratta di una passione, di uno sport, un modo per vivere a contatto con la natura. Ma nei primi decenni del secolo scorso le slitte erano considerate come gli unici mezzi a disposizione per effettuare spostamenti proibitivi e per recapitare la posta.
Nel 1925, a Nome, in Alaska, scoppiò una tremenda epidemia di difterite che causò decine di morti. La cittadina venne messa i quarantena e si richiese urgentemente l'antitossina in grado di debellare la malattia. La città che avrebbe potuto inviare il siero, Nenana, distava circa 674 miglia ma, a causa del maltempo la ferrovia era bloccata e, come unica soluzione, si decise di far partire da Nenana una staffetta di venti mute di cani da slitta. Nell'ultimo tratto (53 miglia) venne utilizzato Balto, un Siberian Husky che veniva considerato utile solo per gli spostamenti più brevi. Balto arrivò a Nome il 2 febbraio. La staffetta durò circa 127 ore, viaggiò con una temperatura media di 40 gradi sottozero.

Balto, essendo l'ultimo, divenne una celebrità. Fece il giro degli Stati Uniti osannato come un eroe e, per colpa di uomini senza scrupoli, entrò a far parte di un circo insieme ai suoi compagni di muta. Un commerciante di Cleveland, Georg Kimble, notò le condizioni disastrose dei cani che salvarono una città e, servendosi della radio, decise di organizzare una colletta. In due settimane avrebbe dovuto raccogliere 2000 dollari per ogni cane. Ci riuscì grazie anche alla partecipazione delle scuole che avevano preso a cuore la sorte dei cani-eroi. Li portò con sé a Cleveland e li fece curare. Balto morì il 14 marzo 1933, a 14 anni, ormai quasi del tutto cieco e sordo. Il suo corpo venne imbalsamato ed esposto al Museo di Storia Naturale di Cleveland. Il suo compagno Togo, invece, è nel Museo di Wasilla, in Alaska. L'impresa dei cani da slitta che arrivarono a Nome è considerata, ancora oggi, un primato straordinario di coraggio e forza.

Nel 1957 il Giappone stabilì la propria base scientifica in Antartide. Vennero portati dei cani giapponesi appositamente addestrati, i Sakhalin Husky. Nel 1958 ci fu una seconda spedizione che non riuscì a raggiungere la base perché la nave rompighiaccio Soya rimase intrappolata nei ghiacci. Gli uomini della spedizione vennero salvati da un aereo ma dovettero abbandonare i 15 cani. La notizia sollevò grandi polemiche in Giappone e si organizzarono proteste e petizioni per poter riportare i cani a casa. Nel 1959 partì la terza spedizione. Sette cani erano morti, legati.

Gli altri erano riusciti a liberarsi ma ne vennero trovati solo due, i fratelli Jiro e Taro. Jiro rimase in Antartide, presso la base e morì nel 1960 per cause naturali. Taro ritornò in Giappone e morì nel 1970 a quasi 15 anni. I loro corpi imbalsamati si trovano a Tokyo e a Hokkaido. Allo scultore che immortalò Hachiko venne commissionato il monumento dedicato all'intera muta di 15 cani, ai piedi della Tokyo Tower. Ancora oggi, il 14 gennaio (giorno nel quale vennero ritrovati i due fratelli), si festeggia in Giappone il giorno dell'amore, della speranza e del coraggio.
Da questa storia sono stati tratti due film: “Antarctica” (film giapponese del 1983) e “8 amici da salvare” (remake americano del 2006).



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