SOCHI: NON SOLO ATLETI, NON SOLO MEDAGLIE...
In questi giorni molte reti televisive concentrano l'attenzione sui XXII Giochi Olimpici Invernali. Partite di hockey su ghiaccio, evoluzioni di pattinaggio artistico e snowboard, atleti strizzati in tute aderenti da alieni per il pattinaggio di velocità. Un Paese sconfinato in trepidazione. Una città sul Mar Nero che, in poco tempo, si è imposta sull'opinione pubblica non solo per le Olimpiadi, per le sue stazioni termali e sciistiche o per le temperature miti. Abbiamo imparato a conoscere Sochi, nella Russia meridionale, per un fatto di cronaca che non possiamo dimenticare: l'ennesimo massacro di cani e gatti randagi, l'ennesima feroce dimostrazione di rigore e potere nazionale che, come sempre, prende di mira chi non si può difendere.
A volte l'esperienza non insegna granché. Con Sochi, vediamo ripetersi le stragi della Romania (a partire dal 2001), della Moldavia (2009) e dell'Ucraina per i Mondiali di calcio 2012. In Moldavia vennero uccisi fino a 200 animali al giorno; in Ucraina i “dog hunter” seminarono il panico per le strade e non risparmiarono nemmeno i cuccioli. Il randagismo romeno raggiunse dimensioni spropositate quando il dittatore Nicolae Ceausescu iniziò ad attirare la popolazione delle campagne in città sempre più grandi, in enormi palazzi anonimi, con il divieto di portare con se cani o gatti. Gli animali domestici vennero abbandonati e, dagli anni '80 a oggi, stime approssimative calcolano milioni di soppressioni. L'uccisione sistematica dei randagi fu legale fino al 2008, quando il Parlamento ne decretò l'illegittimità.
Tuttavia, la legge emanata non è mai stata messa in pratica. Per queste operazioni di “pulizia”si utilizzano truppe d'assalto, schiere militaresche, avvelenamenti a tappeto, catture violente. I corpi agonizzanti sono lasciati spesso in strada, a pochi metri dall'indifferenza. Gli animali catturati, dopo aver attraversato l'inferno in terra, trovano la morte in strutture fatiscenti trasformate in lager.
Igor Ayrapetyan ha 41 anni e non è un atleta ma ha trasformato il suo amore per gli animali in una missione. Da quando la sua esistenza ha incrociato la barbarie di Sochi ogni giorno, con il suo SUV, macina i chilometri che lo separano da Mosca e strappa alla morte quanti più cani riesce a trasportare. Recentemente è riuscito a stiparne 11. Non ci sono criteri di scelta: cani anziani o malati, cuccioli con le loro mamme, adulti. La macchina è diventata una casa, un'ambulanza, un rifugio, una speranza. Li porta a casa e li affida a volontari, amici, parenti poi riprende il viaggio.
Oleg Deripaska è un milionario russo che, in poco tempo, ha costruito un canile di fortuna nei pressi di Sochi. Per ora i posti a disposizione sono 40 ma aumenteranno in modo direttamente proporzionale all'emergenza. Aiutato da associazioni animaliste e veterinari, porta avanti il suo progetto tra le ostilità della polizia locale che ha sempre negato di aver soppresso animali in salute.
Vlada Provotorova è una dentista. Anche lei, con una rete di volontari, ha organizzato un ricovero dove vengono raccolti, curati e sterilizzati i randagi. Si muove tra i box circondata da centinaia di cani sopravvissuti e il suo pensiero va a chi non ce l'ha fatta, a chi è ancora in pericolo. La sua accusa è precisa: dei tanti canili promessi da Putin non ne è stato edificato nemmeno uno e non esistono, in Russia, leggi che tutelino concretamente gli animali. L'abuso e l'abbandono non sono considerati reati.
Queste persone coraggiose che hanno sfiorato l'esistenza di tante creature, che hanno colpito il mondo con una realtà lontana dalle piste da sci, dai podi o dai ristoranti glamour sono riuscite a dare una lezione di umiltà. Hanno dimostrato che alzare la voce per far valere dei diritti, a volte, serve. L'amore può far compiere miracoli e l'affetto incondizionato di un animale ha la capacità di farci rialzare, di camminare con una forza nuova, di combattere il dolore e di vincere.
Più volte è stato detto che la neve delle Olimpiadi di Sochi è macchiata dal sangue ma è anche vero che tutto questo non deve essere dimenticato, per non rendere vana la morte di chi è caduto.
Per dire la vostra sull'argomento potete scrivere a
associazione@battilazampa.it
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